Numero atomico 13

Non è un libro di fantascienza ma il numero dell’elemento chimico conosciuto come alluminio. La tradizione che vede utilizzare il metallo per la costruzione delle chitarre ha origine antichissime.

Il mitico strumento creato dal dio Mercurio si narra fosse costruito con il guscio di una tartaruga come cassa e un manico d’argento. Conoscendo il lirismo dei greci siamo sicuri che fosse d’alluminio e che fosse solo la prima di numerose sei corde.

In passato l’alluminio costava più dell’oro fino a che fu scoperto un economico metodo di produzione alla fine del XIX secolo. Si apre un’era in cui questo metallo leggero e resistente fa il suo ingresso dirompente nell’industria. Le sue caratteristiche e la facilità di lavorazione lo rendono adatto a migliaia di applicazioni e non ci si stupisce se il suo utilizzo nel campo degli strumenti musicali è immediato. Nel 1891 viene brevettato un violino con cassa in alluminio. Qualche anno dopo furono costruiti anche mandolini e infine contrabbassi. Questi strumenti ormai rarissimi sono poco più che curiosità non potendo competere per sonorità, economicità e praticità con gli strumenti tradizionali. Per tornare alla ribalta c’era bisogno di elettricità.

Rickenbacker

 

E infatti la prima chitarra elettrica della storia fu costruita interamente in alluminio. E non si tratta solo di una reliquia da museo. È la lap-steel modello A22 prodotta da Rickenbacker e più famosa col nome di frying pan, la padella per friggere, progettata nel 1930 da George Beauchamp, geniale inventore morto prima della guerra a soli 42 anni. Dal ’29 al ’36, Beauchamp è socio fondatore  di National e Rickenbacker, brevetta il risuonatore a cono singolo del Dobro, la prima lap-steel elettrica, una delle prime chitarre elettriche, uno dei primi violini elettrici e il primo contrabbasso elettrico in alluminio senza cassa. Il metallo  è usato per le sue doti di resistenza, robustezza, leggerezza, non è ancora un materiale di culto, non parla ancora di viaggi nello spazio, di sperimentazione, di motociclette e motori. Non è ancora un feticcio.

Wandré

 

Lo diventa a metà degli anni Cinquanta grazie al nostro Antonio Pioli detto Wandré. Spirito inquieto, un amore per il design e l’avanguardia più che per la liuteria, visionario e anticonformista. Wandré esibisce l’alluminio, lo forgia e lo piega alle sue visioni, lo plasma in forme che vogliono essere un’icona del loro tempo. Unisce forma e funzione, la tastiera di legno è incollata sulla struttura tubolare in alluminio attaccata alla cassa tramite una cerniera che permette di regolare l’action per mezzo di un pomello sul retro. In alluminio pure il capotasto e la paletta. Poi il manico si allunga attraverso il corpo e costituisce un unico blocco che arriva fino al ponte e all’attaccacorde. Il legno della cassa è una mera decorazione che serve più all’ergonomia che al suono. Chitarre e bassi virtualmente privi di difetti, regolazioni, rischi legati al trasporto e all’usura, incorrodibili da sole, sale e sudore. Nei suoi quasi vent’anni di attività Wandré costruisce circa 60.000 strumenti insieme a Davoli e Meazzi e tutti con il manico in alluminio.

Jacobacci Ohio

 

 In Francia  i mitici anni del beat – o meglio, dello Ye-ye – sono identificati con una sola chitarra: le Ohio di Jacobacci. Non c’è copertina francese che non ne veda un esemplare in primo piano. Venivano vendute nei grandi magazzini Major-Conn e sorprende quanto rare siano diventate. Metteteci anche l’aura di culto e di nostalgia e capirete il perché di quotazioni così alte sul mercato. Suonare oggi una Ohio è una grande emozione. Trasmette contemporaneamente le sensazioni che può dare una chitarra con mezzo secolo sulle spalle e avveniristica allo stesso tempo. Il manico è sagomato in modo tradizionale e fa tutt’uno con la paletta. Verniciato in tinta con il corpo non trasmette quel senso di freddezza tipico di molte chitarre in metallo. I pick-up erano avvolti dalla  RV di Stéphane Brammer: una garanzia di qualità, dinamica, potenza.

Alla fine degli anni sessanta il ghiaccio è rotto e l’uso di materiali alternativi affascina anche i costruttori statunitensi. Alle rock star importa poco che l’alluminio sia resistente e affidabile. Vogliono un feticcio da mostrare sul palco e sulle copertine.

Veleno

Il primo a pensarci è John Veleno nel 1967 ma inizia la produzione solo nel 1970 preceduto dalle Messenger. Nei pochi anni di attività vengono realizzati circa 180 esemplari di Veleno e tutti finiti in mano a celebrità e divi del rock. La lista è lunghissima, come se in quegli anni nessuno potesse fare a meno di una Veleno. La cassa cromata rifletteva le luci come niente altro e a completare l’aspetto spaziale sulla paletta a V era incastonato un rubino. Il trionfo del kitsch che raggiunge l’apoteosi nel modello Ankh costruito per Todd Rundgren e sagomato come un antico simbolo egiziano. Oggi possedere una Veleno è decisamente uno status symbol da rock star più esclusivo di una Ferrari.

Messenger

 

 

Intanto nel ’68 la Music Craft di San Francisco produceva le Messenger, manico e cassa in alluminio con decorazioni psichedeliche, pick-up DeArmond, uscita stereo con due jack ma aspetto decisamente tradizionale. Le Messenger sono passate alla storia per il loro endorser più famoso: Mark Farner dei Grand Funk.

Travis Bean / Kramer

Travis Bean

Nel 1974 Travis Bean dà vita all’omonimo marchio insieme a Gary Kramer. Chitarre e bassi più tradizionali nell’aspetto. Il legno di contorno era secondo la moda dell’epoca realizzato prevalentemente con il koa. Nei suoi cinque anni di vita Travis Bean produsse poco più di 3500 tra chitarre e bassi tutti abbastanza ricercati sul mercato.

Kramer

Nel 1975 il sodalizio tra Bean e Kramer si rompe e nasce la Kramer Guitars. Il manico non è più solo di alluminio, la struttura viene modificata con inserti in legno e la caratteristica paletta è modellata sulla forchetta del diapason. La chitarra ha un tradizionale manico avvitato ma la tastiera è in una resina  chiamata Ebanolo. Veloce e dritta come le vecchie tastiere in plastica della Hagström. E fa la sua ricomparsa il famigerato tasto-zero. Kramer produsse numerosi modelli tra cui spiccava la mannaia di Gene Simmons prodotta in circa 500 esemplari tra basso e chitarra. Agli inizi degli anni ’80 Kramer abbandona l’alluminio per le chitarre che conosciamo e che hanno fatto la storia del Rock di quel decennio.

Zemaitis

  

Non possiamo chiudere questa carrellata di chitarre bizzarre in alluminio senza citare le leggendarie Zemaitis che devono parte della loro bellezza al lavoro di incisione su alluminio di Danny O’Brien. E curiosamente il cerchio si chiude.  Invece di evocare tecnologia, motociclette, navi aerospaziali e futuro, O’Brien e Zemaitis si servono dell’alluminio per dare alle loro chitarre un sapore antico, di armature e pirati della Tortuga il primo dei quali fu sua maestà Keith Richards. Oggi l’alluminio ha l’odore del vintage più che dell’innovazione e la nuova frontiera è diventata la ricerca di nuovi materiali compositi e la digitalizzazione delle nostre asce.