Il fenomeno migratorio e l’industria degli strumenti musicali
Non è possibile capire l’unicità e le caratteristiche del polo produttivo marchigiano senza ricordare i fenomeni emigratori oltre che l’industria della fisarmonica.
Intorno al 1870 inizia l’ondata della Grande Migrazione. Dal 1876 al 1915 partirono circa 14 milioni di persone (con una punta massima nel 1913 di oltre 870.000 partenze), a fronte di una popolazione italiana che nel 1900 giungeva a circa 33 milioni e mezzo di persone.
Illuminanti a questo proposito sono i lavori del professor Marco Moroni dell’Università delle Marche da cui riprendiamo quasi integralmente alcuni brani.
Intanto la banale ma mai troppo ricordata considerazione che gli strumenti musicali sono il secondo fattore per l’affermazione dell’identità degli emigrati italiani dopo il cibo. Nel 1906, secondo un’indagine della Factory Investigating Commission, a New York vi erano 1.500 panettieri italiani. Il desiderio di conservare la propria cultura e radici era così forte che gli emigranti erano disposti a spendere molto di più pur di avere alimenti provenienti dalla loro terra o cucinati da connazionali: arrivavano a pagare «fino a cinque volte il prezzo cittadino ma non rinunciavano al «cibo italiano».
A consolidare i legami fra connazionali o corregionali concorrono sia i numerosi incontri conviviali organizzati dalle comunità immigrate in occasione delle cerimonie civili e religiose celebrate nei paesi di adozione, sia gli appuntamenti che riuniscono i gruppi parentali (allargati agli amici e talvolta anche ai vicini) per festeggiare particolari momenti della vita familiare, in particolare nascite e matrimoni. E in tutti i riti conviviali, al cibo nazionale si accompagna sempre la musica etnica. La musica si configura come elemento centrale dell’esperienza migratoria e lo è fin dalla partenza. Nel corso della traversata, poi, la musica segna sempre il passaggio dell’equatore. Talvolta una banda accoglie gli emigranti anche al momento dello sbarco. In seguito, la musica accompagna la vita quotidiana degli emigranti nel nuovo mondo in ogni momento della vita. Il ruolo della musica quale strumento di identità etnica fu rafforzato «dall’orgoglio per l’apprezzamento americano dei compositori, dei cantanti e dei direttori d’orchestra italiani», a New York e in molte altre città statunitensi «gli italiani erano musicisti stimati» e richiesti sia dalle scuole di musica che dalle orchestre più prestigiose. Tutto ciò, ovviamente, non vale soltanto per l’America del Nord. Anche per l’Argentina le testimonianze sono numerose.
Gli strumenti erano tutti quelli legati alla tradizione (chitarre, mandolini zampogne) ma anche e soprattuto organetti e fisarmoniche. Il sistema per l’acquisto degli strumenti era l’acquisto dal catalogo per posta, con pagamenti anticipati via banca e spedizioni via mare. Le statistiche del commercio estero attestano la relazione tra il balzo che le esportazioni di strumenti musicali fanno registrare tra 1907 e 1913 e il balzo quantitativo dell’emigrazione marchigiana: in pochi anni le fisarmoniche vendute fuori d’Italia passano da 690 a 14.365.
Nel 1911 le ditte più impegnate nella vendita all’estero risultano tre: Paolo Soprani, il fratello Settimio e Sante Crucianelli. Il sistema di vendita postale era poco efficace, dando luogo a numerose contestazioni, ritardi, pagamenti sbagliati e difficoltà logistiche. Nacquero perciò i primi grossisti: Minard & Blanchon in Francia, August Waidele in Svezia, Meschieri, Bertolini e Anconetani in Argentina.
La figura del grossista distributore è particolarmente diffusa negli Stati Uniti dove si distinguono Lupinacci e Morano a Filadelfia, Pontarelli e Ruatta a Chicago, Porcella e la Tosi Music a Boston, il gruppo più consistente opera però a New York, con in testa il professor Pietro Forte, al quale si affiancano Rosario Casella, Oreste Pagani, il banchiere John Cerabino e infine la ditta Buegeleisen & Jacobson. Negli anni 40 inizieranno la loro attività di importatori i fratelli LoDuca.
Come per il cibo, così anche nel caso della musica la continuità non si limita alla sfera del consumo, ma ben presto investe anche quella della produzione. È nel quindicennio che precede la grande guerra che fra gli emigranti fanno la loro comparsa anche i lavoranti di armonici. Come è accaduto per altre catene professionali anche gli organetti fidardensi si orientano verso ben definiti itinerari geografici, utilizzando come base d’appoggio una fitta trama di vincoli familiari e territoriali che li portò tutti negli Stati Uniti e nessuno in America Latina. La loro meta è il grande mercato statunitense dove, come si è visto, stanno crescendo rapidamente le esportazioni. Come per altri settori, anche nel caso degli strumenti musicali inizialmente l’attività si concentra nelle Little Italy delle grandi città statunitensi.
La forte crescita dei consumi cittadini che si realizza negli Stati Uniti del primo Novecento favorisce l’articolazione del sistema produttivo. In un settore in cui, come si legge anche negli opuscoli pubblicitari del primo dopoguerra, il prodotto è ancora «tutto fatto a mano» e che a lungo resterà caratterizzato da scarsa intensità di capitale e da alto contenuto di lavoro, non vi sono grosse barriere all’entrata.
Gli operai che lavorano in una delle imprese maggiori riescono facilmente a dar vita a una propria azienda, secondo un modello che richiama la nascita per gemmazione, spesso restando fornitori per la ditta madre di parti staccate poi da assemblare.
Si spiega così la precoce diffusione, a macchia d’olio, della lavorazione della fisarmonica da Castelfidardo ai comuni limitrofi, in particolare Recanati, Loreto, Osimo e Camerano. In tal modo si forma un’area di specializzazione produttiva dalla quale, negli anni tra le due guerre, quando ormai si consolida anche l’organizzazione di fabbrica, prenderà avvio il distretto marchigiano degli strumenti musicali. Il modello ora descritto non muta nelle città nordamericane.
La lavorazione si svolge prevalentemente in piccole botteghe, spesso con l’aiuto di lavoranti a domicilio; fino a che si conserva la tradizionale organizzazione produttiva, non è difficile che, nelle fasi di forte crescita della domanda, alcuni lavoranti decidano di tentare l’avventura del mettersi in proprio. Solo più tardi, negli anni tra le due guerre, si passerà al sistema di fabbrica. Molti dei nuovi imprenditori che emergono nelle Marche nel corso della prima metà del Novecento hanno vissuto l’esperienza dell’emigrazione, negli anni seguenti si affermano altri produttori, per i quali l’emigrazione si rivela una sorta di apprendistato.
Nel secondo dopoguerra l’industria marchigiana della fisarmonica vede il suo apice, rispetto ai 72.000 pezzi esportati nel 37, la produzione tocca punte di 200.000 pezzi l’anno.
Il ruolo delle rimesse è sempre sfuggente; viene spesso citato ma è difficilmente documentabile. In pratica consiste nella promozione, finanziamento e apertura di impianti produttivi in Italia per fornire il mercato Nordamericano da parte di aziende statunitensi fondate da immigrati. Quelli che ci riguardano più da vicino sono i casi di Excelsior e Zerosette che diventeranno in seguito anche produttori di chitarre. La nascita della Zerosette fu finanziata da Julio Giulietti da tempo attivo a New York. Lo stabilimento Excelsior fu aperto a Castelfidardo nel 49 dai fratelli Pancotti tornati in Italia dopo la fondazione della Excelsior Manifacturing Company nel 24 sempre a New York.
La crisi della fisarmonica arriverà alla fine degli anni 50, quando i gusti musicali cambiano a favore del Rock’n’Roll ma anche la progressiva trasformazione delle Little Italies e la dispersione di parte della loro popolazione proprio a partire dagli anni cinquanta con l’inevitabile appannamento dell’identità etnica delle nuove generazioni.
Negli Usa all’inizio degli anni 50 Leo Fender inizia a produrre la Telecaster (1951) e poi la Stratocaster (1954) nell’anno del successo di Bill Haley, Rock Around the Clock. Due anni dopo arriveranno Elvis Presley e i nostrani Clem Sacco e Adriano Celentano. L’atmosfera che si respira è elettrizzante: il 4 ottobre 1957 i sovietici lanciano lo Sputnik, il primo satellite artificiale della storia. Nel 61 mettono in orbita Juri Gagarin, il primo uomo.
Se il cibo è ancora un simbolo di appartenenza, la musica tradizionale (quella di O’ sole mio e di Mamma, ma anche dell’opera lirica e delle canzoni della nuova “musica leggera”) fra i giovani italoamericani lo è sempre meno. D’altra parte la stessa musica italiana a partire dagli anni sessanta viene investita da un processo di americanizzazione che comporta «una rivoluzione negli stili di vita e di consumo, nei rapporti tra le generazioni e tra i sessi”.
È un processo che dalla musica e dal mondo giovanile ben presto si allarga all’intera società portando rapidamente, anche per effetto della progressiva diffusione e penetrazione dei mass media, a quella «americanizzazione del quotidiano» della quale ha parlato Stephen Gundle. Nel giro di pochi anni la quota delle chitarre sul totale delle esportazioni italiane di strumenti musicali cresce rapidamente, passando dallo 0,8 per cento del 1956 al 12 per cento del 1965.
M. Moroni, Percorsi imprenditoriali: i Pigini dalla terra alle chitarre tra reti parentali, distretti e mercati internazionali, in «Imprese e storia», 2001, 23
M. Moroni, Alle origini dello sviluppo locale, il Mulino 2008
M. Moroni, Emigranti, dollari, organetti Affinità Elettive 2004
Z. Frati, B. Bugiolacchi, M. Moroni, P. Picchio Castelfidardo e la storia della fisarmonica