La chitarra elettrica in Germania
di Jack Marchal
L‘industria tedesca della chitarra era negli anni ’60 una formidabile macchina da guerra, contrastata solo marginalmente dagli svedesi della Hagström (nel settore dell’alto di gamma), dagl’italiani della Eko (nel cuore del mercato) e dagli olandesi della Egmond (per gli strumenti più economici). Per capire qualcosa di quell’industria bisogna risalire alle guerre di religione del Seicento che ebbero una influenza decisiva sulla strumentazione del rock’n roll europeo. Lasciatemi spiegare!
All’inizio c’era nei Monti Metalliferi fra la Sassonia e la Boemia una concentrazione unica di liutai classici a Schönbach/Egerland, sul lato austriaco del confine. Per scappare dalla Controriforma, una parte di loro emigrò in terra luterana, nel Vogtland sassone, pochi chilometri più a Nord, in città come Markneuchirchen, Klingenthal, Zwota, destinate a far parte dell’impero tedesco e più tardi della Germania dell’Est.
Negli anni 1870-1914, in una Germania in velocissima crescita economica, i protestanti del Vogtland svilupparonno anche un potentissimo settore della fisarmonica (strumento emblematico della rivoluzione industriale) e degli strumenti a fiato, mentre i cattolici asburgici dell’Egerland rimasero specializzati negli strumenti a corda tradizionali, violini, violoncelli, ma anche chitarre – spesso a forma di liuto – e cetre da tavolo.
Immaginatevi la scena: sul lato Nord del confine organetti per la classe operaia tedesca e ottoni per le fanfare prussiane; nell’altro centro gemello violini per i valzer viennesi e strumenti per il folklore rurale dell’Europa centrale.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale i tedeschi di Boemia (i cosiddetti Sudeti) vennero espulsi dalle autorità cecoslovacche, Schönbach fu slavizzata e ribattezzata Luby. Le famiglie dei liutai si concentrarono a occidente, in Franconia, nella zona a maggioranza cattolica di Erlangen, e in particolare nella piccola città di Bubenreuth: è l’origine di Höfner, Framus, Hoyer e Klira (cioé quasi tutti i più grandi), nonché di costruttori minori come Isana e Fasan che probabilmente avevano con Klira legami tecnici e di parentela. Le loro competenze nella liuteria classica si rivelarono preziose per la costruzione di chitarre jazz, approfittando della presenza nella zona di grandi basi americane, con tanti militari entusiasti della disponibilità di strumenti di notevole qualità a buon mercato (similarmente a Carmelo Catania in Sicilia).
Così si diffuse velocemente nel mondo anglo-americano la reputazione e la notorietà di Höfner che già nel 1954 proponeva versioni elettrificate dei suoi modelli. Fino al 1961, data in cui ad Amburgo un certo Paul McCartney… Altra storia, risaputa.
Nel frattempo, in Sassonia – finita nella zona di occupazione sovietica – ebbe luogo un fenomeno parallelo con tantissimi liutai artigianali che produssero chitarre jazz per il blocco dell’Est. Ma a differenza dei colleghi traslocati a Bubenreuth, c’erano accanto a loro manifatture di fisarmoniche (Meinel & Herold, Migma) convertite nella produzione di solidbodies elettriche, come avveniva nel contempo in Svezia con Hagström o a Castelfidardo/Recanati, o ancora in Jugoslavia con Melodija (Menges) o Harmonija (Zagabria). Ed è un fatto che la perizia nella produzione di fisarmoniche è risultata essere un punto di partenza ben più fecondo della liuteria tradizionale per sviluppare chitarre elettriche innovative.
Così si spiega che paradossalmente, in termini di estetica e addirittura di tecnologia, le chitarre della Germania comunista furono fino ai primi anni ’60 ben più creative di quelle fatte a Ovest, a Bubenreuth, che nonostante l’ottima suonabilità dimostrano spesso un disegno perlomeno frettoloso e maldestro, risentendo fin troppo del retaggio della liuteria tradizionale (in particolare per quel che riguarda le finiture tipiche dei violini, cioé sottilissime e dunque eccessivamente fragili).
L’eccezione in questo scenario è stata la Hopf. Inizialmente collocata a Zwota, Sassonia, si trasferì nel dopoguerra nella zona (prevalentemente protestante) di Wiesbaden, a Taunusstein pensando che ci sarebbe stato più futuro all’Ovest. Al contrario della galassia di Bubenreuth, non si preoccuparono di fare tutto in proprio. Molte delle sue chitarre erano fatte parzialmente o interamente da fornitori esterni (includendo italiani come Welson, Gemelli, Eko), ma concentrando la sua attenzione all’originalità del disegno (dando vita a creazioni mitiche come la serie Saturn).