Meazzi e Franco Cerri

I musicisti come Zuccheri non hanno il giusto appeal. Appare chiaro che serve un testimonial al passo coi tempi e Meazzi stabilisce un rapporto di collaborazione coll’allora già famoso Franco Cerri, in assoluto uno dei più grandi jazzisti italiani. È Cerri a imbracciare la Zuccheri per la comunicazione insieme alla Supersonic. La Supersonic non è un modello credibile per un jazzista e la Zuccheri si chiama già come un altro musicista.

Alla Meazzi Cerri vi era arrivato attraverso Luigi Scarpini che gli presentò Franco Caldiroli e il maestro Olivieri, all’epoca product manager della Meazzi.  Cerri adorava Django ma la sua chitarra ideale era la Gibson. Caldiroli e Olivieri spingevano per una solid-body o almeno una semiacustica a cassa piccola e bassa. Cerri spiegò che voleva abbracciare la chitarra come una donna e chiese qual era il massimo che potevano fare. 9 cm! risposero i designer e così fu. Cerri ebbe la sua Meazzi a cassa alta che fu rubata subito dopo. “Fu l’unica Meazzi che ebbi, ma rimanemmo molto amici anche se io tornai subito alla mia amata Gibson”

In realtà quella chitarra a fascia bassa nacque ed entrò in catalogo come modello Cerri, una versione estremamente semplificata della Zuccheri, un solo pick-up, niente vibrato e spalla mancante fiorentina, esattamente tutto quello che serviva a un jazzista secondo Caldiroli e Olivieri. La Cerri è una meteora senza mercato e appare sul catalogo del 1965 senza lasciare molte tracce. Cerri intanto troverà le chitarre della sua vita e non le lascerà più: prima una Gibson 175 e infine  la sua L5. In una intervista recente ricorda così quel periodo:

Inizialmente suonavo con quello che capitava perché non vi era una grande scelta. Ho iniziato a strimpellare con una chitarra da 78 lire portatami a casa da mio padre quando avevo circa 16 anni. Ho suonato poi con due o tre chitarre artigianali fatte da liutai ma queste non mi hanno mai soddisfatto troppo. Volevo un chitarra con una tastiera comoda e un action bassa affinché la pressione sulle corde mi risultasse agevole e non mi limitasse nella velocità dell’esecuzione. Nel 1961 il negozio Monzino ha iniziato ad importare Gibson e da questo momento in avanti ho sempre usato questo tipo di chitarre fantastiche. Ho comprato la mia prima Gibson ES-175 natural a rate nello stesso anno pagandola 200.000 lire. Ora suono nei concerti con una L5 e tengo nella scuola dove insegno la ES 175 (la prima chitarra acquistata). http://www.jazzitalia.net/articoli/int_francocerri2.asp

Curiosamente non c’è traccia di Meazzi nei ricordi poco generosi di Cerri e probabilmente il rapporto  fu di natura  commerciale e serviva ad assicurare passaggi televisivi. Ancora nel 67 vediamo in TV l’uomo in ammollo con Mina e il modello Cerri. Numerose sono le foto con chitarre Meazzi e Cerri teneva una rubrica su Ciao Amici in cui faceva provare le Meazzi ai suoi ospiti.  Eppure chiunque abbia provato a suonare una Meazzi dovrà riconoscere a Cerri di essere uno dei pochi ad aver tirato fuori un suono così…

Cerri e Supersonic

La Cerri, la terza da sinistra nella fila in alto.

Una milanese Hermann, autografata da Cerri su Ebay in Canada… Vero o falso?

Le due chitarre artigianali crediamo fossero queste nelle foto, la Meazzi  acustica a spalla mancante  elettrificata di sapore manouche (Cerri era estimatore e amico di Django Reinhardt) e questa chitarrona da jazz alquanto primitiva della Mogar.

Franco Cerri con la Zuccheri

JAZZ AD ALTO LIVELLO A COMBLAIN LA TOUR

Comblain la Tour, la riconosciuta capitale europea del Jazz, ha visto riuniti per la quinta volta sulla sua celebre -prateria- i nomi più significativi del Jazz mondiale.   La manifestazione si è tenuta il 13 e il 14 agosto; dai 30 ai 40.000 appassionati sono convenuti in Belgio da tutto il Continente europeo.   Era un quadro di colore decisamente pittoresco: i ten agers nelle loro tenute “d’ordinanza” (blue jeans attillatissimi, camicie a scacchi e giacche di pelle nera), accoccolati davanti al grande palco dell’orchestra dove si alternavano musicisti di fama e giovani reclute, erano prontissimi ad applaudire freneticamente i migliori come a fischiare senza misericordia coloro che dimostrassero di non possedere quello spirito jazzistico indispensabile per affrontare una simile rassegna.
L’intuito di questi ragazzi nell’individuare, sin dai primi accordi, le capacità di un elemento, è veramente formidabile.   La loro educazione jazzistica affinatasi col passare degli anni, ha dell’incredibile: non si sbagliano quasi mai ed è impossibile ingannarli.
[…] Trionfatore del Festival è stato, senza ombra di dubbio, il grande Jimmy Smith, l’organista che sembra riuscire ad evocare con le sue magiche dita, tutta la storia del Jazz, dalle origini ai giorni nostri.   Jazzista puro sangue, Smith è un’armonizzatore intelligentissimo e un musicista dalle idee originali e dallo swing travolgente.   I bis che i ten agers “rapiti” hanno chiesto a questo giovane negro americano sono stati innumerevoli: e Jimmy, sempre più scatenato, saliva di “giri” e d’entusiasmo. […]
[…] la nostra rappresentanza, che era composta da Franco Cerri, Dino Piana, Enrico Intra, Pupo de Luca e Paolo Salonia, ha ottenuto un successo caloroso sia da parte della critica che del pubblico.   Il nostro Jazz è stato definito “elegante” e, nello stesso tempo, caldo carico di swing e moderno.   […]
Il successo italiano a Comblain non si è limitato ai musicisti per la prima volta infatti anche gli strumenti musicali italiani hanno preso parte a quella rassegna mondiale del jazz.   Dato che tutti i componenti dell’equipe italiana usavano strumenti Hollywood, dirigenti e tecnici della Meazzi hanno creduto opportuno presenziare alla manifestazione di Comblain per rendersi conto del livello della produzione italiana nei confronti di quella europea e d’oltreoceano.
Anche fra gli strumenti però c’è stata una “discriminazione”: la più applaudita infatti è stata la batteria Hollywood di Pupo de Luca.   Mentre la chitarra di Franco Cerri è stata guardata ed ammirata, la batteria ha praticamente partecipato di fatto a tutta la manifestazione.   Moltissimi musicisti infatti hanno chiesto a Pupo de Luca di lasciargliela provare e quindi se la son fatta prestare anche per i concerti.
Sul palco, così, si alternavano i complessi e rimaneva la Hollywood, che è stata giudicata uno strumento completo sia come sonorità e rendimento, sia come robustezza e sia, infine, per la sua bellezza.
La quinta edizione del Festival internazionale di Comblain la Tour ha dimostrato ancora una volta la indiscussa validità artistica dei nostri musicisti e nello stesso tempo ha esaltato il lavoro e la tecnica delle maestranze italiane, ormai in grado di creare strumenti che nulla hanno da invidiare a quelli d’oltreoceano.

(rassegna di Musica e Dischi – settembre 1963)